Quando
entri, dopo le formalità di rito: cassa, biglietto, posti numerati,
entri. Entri veramente, completamente. Ma tutto è vero, reale, non
finzione scenica, non parti recitate, ma solo la vita con quel valzer
delle capinere leggero, struggente, antico vissuto in un angolo del
mondo. Improvvisamente ti rendi conto di cosa sia, che significato abbia
essere un insieme, una parte del tutto, dove il tutto, in questo caso,
è solitamente una parte: spesso la più ignorata. E non ti accorgi che in un angolo della vita puoi vivere direttamente e crudelmente la tua incapacità di entrare con semplicità in un dialogo fatto di sola contrattazione da mercato e ti accorgi che tutto ciò che avevi pensato e creduto vero sul tuo modo di pensare, non è vero niente, perché in realtà sei incapace, e ti rimane solo lo sforzo di voler superare la tua incapacità. D'improvviso
suoni potenti, lontani scuotono, attirano, eccitano la tua attenzione:
una bambina vestita da grande con lo sguardo furbo di chi ha già tanto,
eternamente vissuto ti guida: fai attenzione! A volte ti senti circondato, accerchiato, un po' impaurito da un'invasione naturale che, come tale, non si può controllare: tutto in questo strano palco è amplificato, ma è questa estensione che cattura che, probabilmente, irrompere, non sai dove può arrivare, ma sai che qualche cosa ha toccato. Come quando da lì non si torna indietro, puoi solo proseguire. Un'emozione ed un ricordo grato a chi con una grandezza d'animo visibile e toccabile è riuscito a dare tanta gigantesca umanità ad un essere solo e triste che poteva vedere solo in un'unica direzione.
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